i due catini

Due catini attirano in questi santi giorni la mia attenzione e mi rendono pensoso. Il primo è nelle mani del figlio di Dio la sera della cena con i Dodici. Il secondo servì a Pilato per mettersi al riparo dalle sue responsabilità e dalla sua coscienza.
Gesù sta per essere tradito. Tra poco sarà arrestato e condannato a morte.
Lui lo sa. Il tempo stringe. Eccolo allora chiedere ai suoi amici di lasciarsi lavare i piedi. Qualcuno si ribella. Lui insiste. Si china e versa acqua sulle loro polverose estremità.
Poi prende il catino e glielo consegna: "Come ho fatto io dovete fare voi se volete essere felici e rendere più bello il mondo. Se volete che la terra somigli un poco al paradiso. Servire è il verbo che dovete coniugare in tutti i modi e in tutti i tempi. Non sono le parole a toccare i cuori, ma l’amore. Gridate agli uomini che Dio li ama. Amare sempre è faticoso, ma possibile. Si muore dentro, è vero, ma se il seme non marcisce non ci sarà pane da mangiare né da consacrare. L’amore è il fondamento del mondo nuovo. Il catino. Tenetelo caro come l’oggetto più prezioso. Vi ricorderà la vostra missione e la vostra grandezza. Non abbiate paura, non sarete mai soli. Sempre vi terrò compagnia".
Un altro uomo compare all’orizzonte. È il procuratore romano Pilato. La sua storia è destinata a intrecciarsi con quella di Gesù. I giudei glielo hanno consegnato perché lo condanni a morte. Pilato sa bene che un sopruso: quell’uomo è innocente. Il suo dovere gli imporrebbe di rimetterlo in libertà. Ma la folla lo intimorisce. Lo incita a fare in fretta. Gesù gli sta davanti sereno, maestoso. Lui è altezzoso, irascibile, insicuro. Lo interroga, senza mai guardarlo negli occhi limpidi come l’acqua di sorgente. Gesù tace. La gente grida.
Bestemmia. Minaccia. Pilato si arrende. Davanti a tanta cocciutaggine cede. "Facciano quel che vogliono – pensa – seguano pure la loro arcaica religione e le sue leggi. Mi lascino in pace. Non voglio impelagarmi in questa storia". Poi anche lui fa ricorso a un catino. Non gli serve per raccogliere l’ acqua versata sui piedi di qualcuno, ma per lavare le proprie mani. Per convincere la folla, il condannato e se stesso di non avere colpa del sangue che sta per essere versato. Porge le mani e qualcuno, ossequioso, gliele bagna.
Illuso. Nessuno può far finta di non vedere quando invece ha visto; di non sapere quando ha già saputo. Pilato non sa che quell’acqua non lo laverà ma lo accuserà per sempre. Lo marchierà a fuoco.
Due uomini. Il primo accetta di morire in croce per tutti, anche per il secondo, ma l’altro non lo sa. Il secondo crede di avere potere sul primo e invece è proprio da lui che lo riceve. Due catini, così simili, così diversi. Ognuno deve scegliere quale dei due mettere nella bisaccia della vita: se il catino del servizio e dell’amore o quello della codardia che si fa complice del male. A ogni uomo è data la libertà di consegnarsi alla gioia vera che nasce dal servire e dal donare, o cedere all’illusione del piacere effimero del disimpegno e dell’egoismo. Ognuno deve scegliere se fermarsi davanti al fratello nel bisogno o svoltare al primo incrocio, nascondersi dietro la prima siepe.
Tanti svoltano. Prima di essere visti e chiamati a dare il proprio contributo.
Per paura di essere arsi dalla febbre della giustizia e della solidarietà. Altri – e sono un popolo che non finisce mai – vanno dritti per la strada tracciata dal Maestro. Sanno che non sempre è agevole, che potrebbe portarli a donare tutto e la loro stessa vita, ma non vogliono tirarsi indietro.
Come ammanettati all’unico Signore di cui non possono assolutamente fare a meno, si incamminano felici per le strade del mondo. Nel bagaglio lo stesso catino usato da Gesù la sera benedetta di tanti anni fa.

MAURIZIO PATRICIELLO in Avvenire del 6 aprile 2012

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