I bambini e il gioco. E' meglio fuori casa

Dall'articolo "Dove giocano i bambini? Meglio se è fuori casa" di Umberto Folena.

Giocate, bambini, giocate. Con i vostri amici, inventandovi gio­chi sempre diversi. Lontano da­gli sguardi apprensivi degli adulti. Gio­cate all’aperto, perché soltanto quello là fuori è vero gioco. Parola di France­sco Tonucci, responsabile del progetto internazionale 'La città dei bambini' del Cnr. Da anni lui e l’Azione cattolica ragazzi (Acr) s’incontrano e collabora­no. Viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda. E così è nato il progetto 'Dove andiamo a giocare?', una grande inda­gine sul territorio per scoprire dove e come giocano bambini e ragazzi italia­ni. L’Acr distribuirà capillarmente un questionario, che comincia con questa domanda cruciale: «Ti capita durante il tuo tempo libero di giocare fuori casa?». Ma avercelo il «tempo libero», quando troppi genitori sembrano presi dalla fre­nesia di riempirglielo tutto, il tempo ai loro figli. E «fuori casa», dove sono in agguato i lupi... «Sa quanti bambini ita­liani tra i 6 e gli 11 anni vanno a scuola da soli? Il 7 per cento» scuote il capo To­nucci, padre e nonno. E negli altri pae­si? «In Germania il 75, in Norvegia il 90». I genitori italiani saranno pure partico­larmente apprensivi, ma i pericoli ci so­no davvero. La loro, quindi, è appren­sione patologica o saggia prudenza? «A Pesaro – racconta Tonucci – abbiamo avviato un progetto, in dieci scuole, per incoraggiare i bambini ad andare a scuola con gli amici, senza adulti. Do­po dieci anni ho interpellato la Polizia municipale. Quanti bambini soli erano stati vittime di incidenti? Zero. E quan­ti bambini in automobile con i genito­ri? Nove. Paradossalmente, è molto più pericoloso farsi accompagnare...». Giocare è dunque importante, ma non tutti i giochi sono uguali. «Le esperien­ze dei primi giorni, mesi e anni della propria vita sono decisive – spiega To­nucci – e si fanno giocando. 'Gioca' la mamma quando allatta e accarezza il suo bambino; si gioca per esplorare il mondo. Tramite il gioco, l’individuo po­ne le basi del suo futuro». Ma perché è così importante giocare fuori casa, con gli amici, senza lo sguar­do assillante degli adulti? «Il verbo gio­care non può accompagnarsi con i ver­bi accompagnare, controllare e sorve­gliare; va d’accordo solo con il verbo la­sciare. Il bambino che non esce di casa non incontra bambini sconosciuti e non elabora strategie per conoscerli; né po­trà stabilire se sono buoni compagni di giochi da cercare ancora, o al contrario da evitare». Oggi i bambini italiani gio­cano a giochi organizzati dai grandi... «Hanno amici 'coatti', i compagni di scuola e i figli degli amici dei genitori. Tutti coetanei. Invece dovrebbero fre­quentare anche bambini più grandi, che sanno di più, dai quali apprendere. Sa che cosa le dico? Se un bambino non ha vissuto queste esperienze, farà mol­ta fatica a scegliersi il compagno o la compagna giusti per la vita». Giocare fuori, infine, per scaricare le e­nergie fisiche. Per correre, sporcarsi, li­tigare... «Davanti alla tv – scuote il capo Tonucci – è facile che si rimpinzi di por­cherie. I pediatri sono convinti che l’o­besità infantile procuri danni peggiori perfino del fumo. E le cause sono due, scarso movimento e cibo cattivo». Il bambino a cui è impedito di ritagliar­si spazi di autonomia, fuori casa, rischia di maturare un forte bisogno di tra­sgressione che esploderà appena si ve­rificheranno le condizioni minime, da adolescente. «Bullismo, vandalismo, in­cidenti stradali, abuso di sostanze, ses­so scriteriato... non dipendono diretta­mente dagli errori educativi dell’infan­zia, ma di sicuro vi hanno a che fare». «Troppi genitori sembrano convinti di avere di figli tonti», sorride Tonucci. In­vece si sanno arrangiare, se gliene dia­mo la possibilità. Il progetto con l’Acr procurerà materiale utile per rendere più accessibile il diritto al gioco. Quello vero, quello 'fuori'.
(Avvenire del 18 gennaio 2014)

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