Il racconto del peccato originale: esegesi del cardinale Ravasi

Quante banalità sul racconto del peccato originale. Una lettura frettolosa e superficiale ci impedisce di coglierne il senso. Vi propongo, ragazzi del secondo sportivo, che state riflettendo su questo tema, l'esegesi del cardinale  Ravasi.
[...] Prima di passare alla seconda tavola (ndr vedi post per il IV Liceo), destinata a dipingere lo scardinamento di questo progetto pensato da Dio per la sua creatura più alta, è necessario esaminare il legaccio che tiene insieme le due tavole. Si tratta di un simbolo vegetale, quell'«albero della conoscenza del bene e del male» (2,9.17) del tutto ignoto ai botanici. Siamo, infatti, in presenza di un albero non fisico, ma metafisico.
Nella Bibbia il simbolismo vegetale rimanda spesso alla sapienza divina e umana e vuole rappresentare un progetto di vita. L’albero della Genesi è, poi, collegato con la conoscenza, cioè con l’adesione piena, «del bene e del male », che sono i due estremi della moralità. Siamo, dunque, di fronte alla morale manifestata all'uomo e simboleggiata nell'albero vivo che si ramifica nel cielo dell’armonia del giardino dell’Eden. L’uomo afferra il frutto di quell'albero cercando di possederlo.
Il gesto ha un netto significato, decisivo per comprendere il 'peccato originale', anzi, ogni peccato o, se si preferisce, la radice velenosa di ogni delitto, secondo le Scritture. L’uomo, violando il comandamento divino, vuole decidere autonomamente quale sia il bene e il male e rifiuta di riceverli codificati da Dio. L’uomo sceglie di essere lui stesso l’arbitro della morale, respingendone ogni definizione trascendente. Boccia, così, il progetto di Dio. Questa è la radice ultima del peccato, di ogni peccato, l’origine stessa del peccato, è il peccato nella sua struttura radicale di orgoglio, di hybris, di sfida, di «essere come Dio conoscitori del bene e del male» (3,5). Suo sbocco è la morte, intesa nel suo senso 'simbolico', ossia globale, fisico-spirituale – la terminologia usata, in ebraico ( môt tamût, «certamente morrai») è quella tipica della condanna per la violazione della legge sacra –, è la separazione dal Dio della vita fisico-spirituale. […]
Grande e drammatica qualità, la libertà dell’uomo è un ritirarsi di Dio ancor più arduo del suo ritrarsi dalla creazione per lasciarle spazio e consistenza. Egli non vuole avere davanti a sé solo stelle che obbediscono a meccaniche celesti o stagioni che rispondono a ritmi obbligati o animali che seguono istinti in loro impressi. Vuole avere un rischioso interlocutore, pronto a rispettarlo nelle sue follie, anche se non a giustificarlo o ignorarlo. […]
Dio non ha incatenato tutte le potenzialità della libertà, ha solo voluto definire i valori morali sui quali esercitare la libertà (l’albero della conoscenza del bene e del male). È ciò che sa bene la donna, e lo attesta in modo esplicito nella sua replica al serpente (3,2-3). Ma, aperto il varco, il serpente fa balenare la possibilità di rompere ogni legame, di sfidare Dio anche sull'unico, fondamentale comandamento. Il precetto divino viene maliziosamente presentato come un’assurda e ostile gelosia nei confronti dell’uomo: «Dio sa che […] si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscitori del bene e del male» (3,5). È questa una perfetta definizione del peccato in senso teologico: è un atto di ribellione in cui l’uomo si sostituisce a Dio, arrogandosi la sua sapienza, la sua divinità, la sua signoria sul bene e sul male.
La lettura dei primi tre capitoli fondamentali della Genesi rivela che la Bibbia guarda alla fragile libertà umana con un certo pessimismo. Non c’è, dunque, speranza per l’autore della Genesi? No, la catena della maledizione può essere interrotta e ciò accadrà quando Dio stesso, deluso della sua creatura, ma non disperato di riportarla nel giardino perduto, deciderà di ritornare in scena, scegliendo un uomo, Abramo, come nuovo interlocutore.
La storia di Abramo, infatti, comincia con la radice verbale ebraica della benedizione, brk, ripetuta per ben cinque volte: «Ti benedirò – dice il Signore ad Abramo – tu stesso diventerai una benedizione, benedirò coloro che ti benediranno […] e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (12,2-3). Sorge ormai l’alba della storia della salvezza.

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